martedì 25 novembre 2008

Gli ultimi pastori di Flop



(Diari di mont 2 - 12 luglio 2008 )E' passato ormai quasi un mese da quando abbiamo riaperto il rifugio e cominciamo a ri-abituarci alla vita in montagna, al silenzio feriale e alla relativa animazione festiva, al rumore della pioggia sul tetto, ai canti degli uccelli, allo scroscio persistente delle acque del rio. Al mattino il sole colora di rosa tutta la parete della Cima dei Gjai che con la sua mole possente sovrasta il rifugio, e sempre incombe su di noi la becca della Sfinge, l'anticima nord di quella complicata montagna che è la Grauzaria.

La becca della Sfinge sopra al Rifugio

Ricomincio da Flop

Ma vorrei proseguire questo “diari di mont” proprio da dove lo avevo lasciato nella puntata precedente, perché in questi giorni ho avuto la fortuna di parlare con Corrado Druidi di Dordolla, classe 1947, uno degli ultimi ragazzini-pastori che hanno lavorato nella malga di Flop, prima che la monticazione fosse abbandonata nel 1961.
Corrado, che vi ha passato le estati del 59 e 60, ne ha dei ricordi ancora vivissimi: mi disegna una piantina della malga e me la descrive nei minimi dettagli, come se fosse ancora davanti a lui.

Corrado al Rifugio (agosto 2008)

“La malga di Flop era costituita da due stalle (stalons) e da una casera, semplici costruzioni con i muri in pietra e i tetti in scandole. Lo stalon più piccolo “alloggiava” una trentina di capre, qualche pecora e qualche giovenca, quello più grande circa 25 mucche; all'interno c'era un soppalco con i giacigli dei pastori, che dormivano quindi sopra le mucche. Il pajon, il materasso fatto di scus, le foglie secche delle pannocchie di mais, i pastori dovevano portarselo da casa. La casera era di piccole dimensioni: nella stanza principale c'era il focolare con la musse, il sostegno girevole per la cjalderie in cui si scalda al latte per fare il formaggio; lì accanto due giacigli sovrapposti per il malgaro ed eventuali familiari o ospiti, soprattutto alpinisti. Sulla sinistra c'era il celâr, un locale seminterrato e quindi fresco per conservare i formaggi. Le ricotte venivano invece poste ad affumicare sopra il focolare. La malga di Flop era molto misera rispetto ad altre del comune di Moggio come Aips e Lanza, e difficilmente e scomodamente raggiungibile.”

Il casaro di malga Flop (foto Treu)

Il proprietario era il vecchio Giovanni Gardel detto “Ors”, aiutato dai due fratelli Pietro e Zef, anche loro ormai avanti negli anni. Nei tempi migliori avevano avuto più di trenta mucche da latte e 25 giovenche che provenivano da tutta la val Aupa fino ai Saps. Corrado ricorda invece solo 25 mucche da latte e una trentina di capre da latte (insieme al bec, il caprone)nonché un piccolo gregge di pecore tenuto allo stato brado.

Corri con le capre

Ma mentre le pecore badavano a se stesse, le capre davano molto filo da torcere ai giovani pastori. “Le capre – continua Corrado – sono tra gli animali più dispettosi e soprattutto all'inizio della monticazione, ai primi di giugno, sono insaziabili. Spinte dalla gola facevano continue scorribande verso il basso, e andavano a depredare i campi di fagioli delle case dei Nanghez e ti lascio immaginare come si arrabbiavano i depredati. I pastori più giovani dovevano correre più veloci delle capre e bloccarle al passaggio del recinto, la stangjade. Insomma, con le capre era guerra continua”.
Le giovenche venivano mandate nei pascoli minori della zona alta, mentre alle mucche da latte era riservato il pascolo migliore, cioè il cjampeit, che veniva rigidamente razionato. “All'epoca non esistevano recinzioni elettriche – racconta ancora Corrado - e il compito dei pastori era abbastanza impegnativo perché si trattava di controllare le mucche al pascolo concedendo loro di avanzare sull'erba nuova per non più di due metri al giorno... pena qualche rimprovero con il bastone! Le capre da latte, che venivano munte come le mucche due volte al giorno, il che richiedeva complessivamente tre ore di lavoro, dopo la mungitura del mattino venivano spinte verso l'alto dove si arrangiavano a cercare le erbe e i fiori di loro maggiore gradimento; ma questo non facilitava affatto il pastore perché le capre non rientravano da sole alla casera per l'ora della mungitura serale.


I fratelli Gardel negli anni 60


Casera Flop negli anni 30 (foto Treu)

Le capre sono animali che cercano sempre il chiaro e non tornano più indietro nell'ombra, hanno bisogno di un richiamo o di essere accompagnate, così il pastore doveva fare qualche chilometro in salita per recuperare la capobranco con del sale o della semola. Mossasi lei, tutto il trop, il gregge, le va dietro.”

I pascoli di Flop negli anni 60 (foto Gardel)

Batude e taçun

Man mano che si inoltra nelle esperienze del passato, vedo che Corrado le rivive con tale intensità che il suo sguardo si è straniato e il suo racconto è diventato quasi una dettatura: “La vita dei ragazzini-pastori era veramente molto difficile in una malga come Flop, lontana dalla strada e anche da quel po' di vita civile che c'era in quei tempi al paese. Dovevamo imparare a mangiare e a dormire in modo del tutto nuovo. Dormire nel soppalco sopra le mucche non era per niente facile, soprattutto nelle prime giornate di monticazione, quando le “scaramucce” tra gli animali che non si conoscevano tra di loro non permettevano di prendere sonno. Quanto ai pasti quotidiani, la colazione consisteva di latte e caffè di cicoria. A pranzo c'era polenta e taçun (detto anche scuete di sedon), il fiore della ricotta, che è un alimento gustosissimo dopo averne fatta l'abitudine, ma davvero schifoso nei primi periodi; a cena, minestra di ortiche con un pugnetto di riso oppure minestra di farinuç (farinaccio, uno spinacio selvatico) con un po' di pasta. Niente fagioli, ma sole erbe e qualche patata. Da bere c'erano la batude, il liquido che resta nella zangola dopo la produzione del burro, e il sîr, il siero, residuo della produzione del formaggio, ma di quest'ultimo non tanto, perché serviva per i maiali!”

Una stupenda foto di Flop dataci dalla famiglia Gardel
Era festa grande il giorno di San Pietro quando si mangiava polente cuinciade: fette di polenta alternate a formaggio e ricotta affumicata e grattugiata, condite con ont, cioè burro cotto. Questo era il preludio alla transumanza verso la malga superiore del Foran de la Gjaline, a 1500 metri, che avveniva qualche giorno dopo, con l'aiuto dei genitori dei pastori per il trasporto delle pochissime cose personali tra cui una giacchetta, due paia di scarpets e il pajon.

Fienagione a Flop negli anni 60 (foto Gardel)


“Immaginati il trasferimento con 30 vacche, 30 capre, due maiali, qualche gallina e il gatto!
Ma questa è un'altra storia - conclude Corrado - e per oggi non ti racconterò altro.”

Rivâ in Flop

Ma se per conoscere la continuazione della storia dovrò attendere, almeno adesso ogni volta che percorro il sentiero per arrivare al rifugio posso ricostruire la vita di un tempo, e ogni mio passo assume un nuovo significato. A Flop, anzi in Flop ci si arriva in meno di mezz'ora dal parcheggio situato vicino alle case dei Nanghez, a 750 metri di quota. Nel bosco di faggi per un breve tratto il sentiero conserva ancora le sue sembianze primitive di larga mulattiera lastricata.


Il cjampeit prima del rimboschimento (foto Gardel)

Il cjampeit nei primi anni Settanta è stato rimboschito con pino silvestre, un'essenza arborea del tutto fuori luogo qui, e oggi è difficile decifrarne l'estensione. I resti delle costruzioni della malga sono sepolti sotto la fitta vegetazione di ortiche e lamponi, solo l'abbeveratoio, il laip, ancora resiste. Ma è secco, perché l'acqua veniva presa nel rio 200 metri più sopra con delle grondaie di legno, che già all'epoca ogni temporale asportava e i pastori dovevano immediatamente risistemare. Nella piccola conca di Flop, solo la Sfinge è rimasta uguale.
La conca di Flop oggi


I ghir-ospiti

Le nostre prime notti sono state allietate, si fa per dire, da continui rumori provenienti dal sottotetto e dal sottoscala, di cui abbiamo subito identificato l'origine anche se non siamo stati molto veloci nel rimuoverne la causa: avevamo uno o forse più ghiri-ospiti! Le bestiole, che lasciavano il segno del loro gradimento in qualunque cibo noi dimenticassimo fuori dalla dispensa, si erano certamente insediate nel Rifugio all'epoca in cui era un cantiere aperto e ne avevano fatto il loro quartier generale. Senza timore di noi umani, dopo un po' hanno cominciato a farsi vedere anche di giorno, lasciandosi avvicinare e anche fotografare.

Ghiro acrobata sul muro esterno del Rifugio

Dopo aver sopportato con pazienza le loro scorribande notturne e diurne, compresa la sottrazione di intere bustine di zucchero sotto i nostri occhi, abbiamo finalmente deciso di acchiapparli e sfrattarli con delle gabbiette-trappola efficienti e assolutamente incruente. Abbiamo così scoperto che i nostri ospiti erano ben quattro, simpatici (ma molesti) scoiattoloni dalla coda soffice e pelosa, e le zampette prensili, capaci di afferrarsi a qualunque minima asperità dei muri per risalirli praticamente in verticale.


Un ghiro colto in flagrante sulla vaschetta del pane

Una volta liberati nel bosco, hanno cercato – impertinenti e impenitenti – di tornare nel calduccio del Rifugio (se è un rifugio serve a questo, no?), ma ci hanno trovati a presidiare ogni ingresso con la scopa. Riusciranno i nostri eroi a tornare? Chi vivrà vedrà.

Le vecchie foto della malga Flop ci sono state gentilmente concesse in parte dalla famiglia di Bruno e Gianni Gardel e in parte dalla sig. Carlo Treu (queste ultime sono state pubblicate sul volume “Moggio e le sue valli”).

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