lunedì 24 novembre 2008

Ritorno al Grauzaria dopo vent’anni

Diari di mont 1 - L’antefatto

Giugno 2007: mancavano pochi giorni alla nostra partenza a cavallo per la Russia, quando una telefonata come un fulmine a ciel sereno ci fa precipitare indietro di vent’anni. Ci chiama il presidente del Cai di Moggio Udinese per chiederci se saremmo disposti a gestire di nuovo, nell’anno a venire si intende, il ristrutturato Rifugio Grauzaria dove già avevamo lavorato per ben cinque stagioni di seguito, dal 1984 al 1988. Ci sentiamo lusingati ma allo stesso tempo spiazzati, l’inaspettata proposta è difficile da prendere in considerazione in un momento in cui la nostra mente è proiettata in un’avventura di tutt’altro genere. Ci illudiamo di averla accantonata, rimossa, ma è chiaro che lavora in modo sotterraneo nelle nostre zucche durante i tre mesi di viaggio…

Il Rifugio com'è ora

C’era una volta il Rifugio Grauzaria, una casetta graziosa nel bosco di faggi, in una radura non lontano da severe pareti che erano state molto frequentate dagli alpinisti udinesi quando ci si spostava in treno o in bicicletta e la val Aupa era considerata la meta più vicina. Fino agli anni 60 chi si recava qui per arrampicare aveva a disposizione per un ricovero sola la malga Flop, che dava un’ospitalità assai rustica e nell’ultimo periodo doveva avere come tetto solo un cielo di stelle. C’era bisogno davvero di un punto di appoggio migliore, e il rifugio fu progettato e faticosamente costruito e finalmente inaugurato nel 1963. Guardo le fotografie dell’epoca e mi stupisco di come fosse spoglio il terreno tutto intorno, mentre ora il rifugio è circondato da grandi faggi e arbusti rigogliosi. Ma negli anni Settanta, con la possibilità generalizzata di avere un’auto propria e più denaro a disposizione, ecco che le pareti della Grauzaria passano un po’ di moda e gli alpinisti si muovono in massa verso mete più prestigiose. Il Rifugio, da sempre pensato per essere lasciato incustodito, è sempre più spesso occupato da comitive del fine settimana, intente a baldorie a buon mercato e poco interessate a lasciarlo pulito e in ordine.

Una cartolina degli anni 70

Nel 1983 il rifugio compie vent’anni e per quest’occasione gli viene data una rinfrescata di tutto rispetto che lo riporta ai suoi antichi splendori e fa nascere la voce che la sezione del Cai proprietaria lo voglia affidare a un gestore.
Certo deve esserci stata qualche strana congiunzione astrale nel cielo del Friuli, in quella primavera del 1984, perché improvvisamente tutti i più remoti e disagiati rifugi alpini, il Grauzaria, il Pacherini, il Brunner, e addirittura un bivacco, lo Stuparich, trovarono un gestore. La maggior difficoltà che lavorare in questi rifugi comportava, e il motivo stesso per cui erano rimasti incustoditi fino allora, era la mancanza di una teleferica di servizio, per cui i rifornimenti alla fin fine gravavano materialmente sulle spalle dei custodi. Nel caso del Grauzaria, il dislivello da superare era di 550 metri e richiedeva un’ora di marcia. Noi, ma con l’entusiasmo della gioventù e della novità e con il desiderio di vincere una sfida ci siamo buttati nell’impresa senza badare troppo alle fatiche. Storie d’altri tempi, per fortuna. Adesso il rifugio ha una teleferica di servizio, e dopo la ristrutturazione si presenta quasi raddoppiato, con lussi allora inconcepibili come pannelli fotovoltaici per la corrente elettrica, acqua calda, tre bagni con doccia, un frigorifero a gas e addirittura la possibilità di collegamento telefonico.


Quattro per uno

Quando torniamo a casa in autunno dal nostro viaggio, parliamo della proposta del CAI con i nostri amici Marco Vecil e Cinzia Codeluppi, gestori anche loro - dopo di noi - del rifugio per due estati. Forse per un attacco di follia galoppante o nella sotterranea convinzione di fermare il tempo che passa, un’idea sorge immediata e spontanea: “Perché non lo facciamo insieme?” E scopriamo così che la motivazione principale, per noi e per loro, vent’anni dopo, è la stessa: mettersi alla prova per scoprire se con un po’ più di vita e di esperienza alle spalle, riusciremo a superare meglio le sfide e le difficoltà che il rifugio comporta. Ma anche l’idea di tornare a vivere in un posto meraviglioso, che tanto ci era piaciuto, gioca la sua parte. Insomma, detto fatto.

Ed eccoci qui allora, a risalire ancora l’usato calle, il sentiero – di cui conoscevamo ogni pietra – che dalla val Aupa porta nel gran vallone di Flop, sotto al severo profilo della Sfinge, che a me a dire il vero ha sempre fatto pensare di più ai monoliti dell’isola di Pasqua piuttosto che alla signora del deserto, ma non ho mai osato dirlo a voce alta. Ma non siamo soli. Marco e Cinzia hanno tre figli, ed è questa, almeno per me, una delle parti più attraenti della nuova avventura, rivedere tutto anche attraverso lo sguardo dei bambini. Comincia bene: appena siamo arrivati ai ruderi di casera Flop, a metà strada circa, Elena e Giovanni, rispettivamente 9 e 7 anni, esclamano all’unisono “Ma quella lì somiglia alle statue dell’isola di Pasqua!”. I due bambini camminano leggeri e spediti sul sentiero, elettrizzati dalla novità che li attende. Cinzia porta un po’ in spalla Lauretta, che ha solo tre anni. Per lei gli scalini di roccia del sentiero sono quasi un’arrampicata. Poi, quando arriva il papà, se la mette nella gerla, e Laura si addormenta.


Trasporto bimbi a mezzo di gerla

I fine settimana di maggio sono stati dedicati agli ultimi lavori, alle grandi pulizie e al lungo e laborioso trasporto dei mobili, smontati e ben imballati, con la piccola teleferica. In giugno ancora pulizie, sistemazioni, abbellimenti, messe a punto, trasporto e sistemazione di tutte le attrezzature di cucina, di materassi, cuscini, coperte, tutti nuovi di zecca. In contemporanea il disbrigo di tutte le faccende burocratiche a valle, perché gestire un rifugio di montagna richiede esattissimamente le stesse procedure di un albergo a Lignano.
Poi, finalmente, si possono portare su gli approvvigionamenti, e si può partire. E’ bello cominciare tutto dall’inizio, e vedere che le stanze, fino a poco prima vuote e con i pavimenti macchiati di malta e pittura, a forza di olio di gomito diventano lustre; dagli scatoloni escono piani e gambe di tavoli, scaffali e montanti, scatoloni e imballaggi vengono ammucchiati all’esterno, le piastrelle fino allora imbrattate di stucco e velate di polvere di cemento cominciano a risplendere, i vetri delle grandi finestre fanno vedere nitida l’immagine delle grandi pareti grigie, il fuoco acceso nella stufa asciuga l’umidità residua e fa scorrere nelle tubature – oh miracolo – acqua bollente con cui lavare i piatti.


Elena Tavella ci aiuta nelle grandi pulizie

Il mese di giugno non è stato finora molto benevolo dal punto di vista meteorologico, e questo ha fatto sì che il nostro confronto con le (nuove?) esigenze dei gitanti domenicali non sia ancora avvenuto, se non in maniera estremamente diluita. Meglio così, perché dobbiamo ancora finire di attrezzarci, materialmente e psicologicamente. Gli entusiasti sono invece Giovanni e Elena, che hanno imparato a preparare la tavola, e a sparecchiare, e con la loro simpatia hanno già riscosso qualche piccola mancia. Stanno di vedetta sul roccione del piazzale, e ci avvertono in anticipo se sta per arrivare qualche ospite – abbiamo spiegato loro che non si deve usare la parola “cliente” – e prontamente anche Laura ha imparato questa nuova parola (“Mamma, c’è un ospite”), senza che noi gliela insegnassimo.

Attività in cucina: Dario e Cinzia all’opera

Oltre che con i classici polenta e frico, minestroni, salsicce e torte di mele, abbiamo deciso di cimentarci, per lo meno per noi stessi, in assenza appunto di ospiti, con gnocchetti fatti con gli spinaci selvatici (chiamati anche buonenrico) e frittate con le ortiche.


Il Rifugio rinnovato

Il Rifugio, rispetto alla costruzione originaria, risulta raddoppiato quasi specularmente. Se non lo sai non te ne accorgi quasi. La facciata è rimasta intatta, con il suo aspetto vezzoso, il muro bianco, gli scuretti rossi, la scala esterna per salire al primo piano. Per avere una panoramica del cambiamento bisogna andare sul versante opposto del vallone, sul sentiero che passa sotto alle pareti della Sfinge, ed è così che cercando una buona angolazione per fare le nuove fotografie, mi accorgo di una cosa che non avevo mai notato prima. Il rifugio si trova come sul limitare di due ambienti, di due mondi: da un lato le severe pareti di roccia grigiastra della Grauzaria e della creta dei Gjai, dall'altra il bosco di faggi che ricopre fittamente le pendici del monte Flop. Non si potrebbe immaginare contrasto maggiore. Un ambiente austero di rocce, a sinistra; un bosco verdeggiante e rigoglioso, a destra. Il rifugio era stato costruito a metà strada tra due casere attive fino ai primi anni Sessanta, casera Flop, a 950 metri, e casera Foran de la Gjaline, sulla sella omonima, a 1508 metri.


La casera Flop nei primi anni Sessanta

Di quest’ultima non resta più nulla, della prima solo poche pietre, quasi invisibili d’estate nel rigoglio della vegetazione invadente di ortiche e di lamponi che formano una vera e propria selva. Si passerebbe via dritti se non fosse per un abbeveratoio che invita alla sosta, senza togliersi lo zaino: basta appoggiarlo sul bordo con un po’ di attenzione per scaricarsi un attimo dal peso. Difficile immaginare come poteva essere allora. Ma anche entrare in questa macchina del tempo in fin dei conti fa parte della sfida.

Troverete indicazioni dettagliate sul rifugio Grauzaria sui siti http://www.sentierinatura.it/ e http://www.assorifugi.it/

1 commento:

  1. Sono passato, praticamente per caso, dalle "vostre parti" nell'ormai lontano 1998, innamorandomi letteralmente del rifugio (all'epoca solitario) e della Grauzaria. Tornerò tra 10 giorni, portando una moglie che non li ha mai visti e un figlio di 8 anni che si sta appassionando alla montagna.
    Se il rifugio sarà aperto, sarà un piacere fare la vostra conoscenza!
    Jacopo

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