giovedì 4 dicembre 2008

Impressioni di settembre al Rifugio Grauzaria

Diari di mont 5 - In questa puntata si racconta di una vecchia stufa assurta a simbolo di un rito di passaggio, di alcuni ospiti particolari del rifugio, dei bivacchi di Kugy e della solitudine del Bivacco Feruglio sul Gran Circo.

Settembre è iniziato, qui in Grauzaria, con un grande nebbione che staziona da giorni sulle cime e sul bosco, ovattando ogni cosa e invitando a fare bilanci e riflessioni. Le nebbie fanno risaltare le forme delle pareti, speroni e torrette che altrimenti nemmeno si notano quando la luce del sole colpisce la roccia.

Nubi nel canalone

Abitiamo al Rifugio ormai da tre mesi. Anche noi, come tutti i turisti e gli escursionisti, saliamo a piedi lungo il sentiero nel bosco e sui ghiaioni, impiegandoci circa un'oretta. Il rifugio lo si intravvede solo all'ultimo momento, tra gli alberi, ai piedi delle pareti della Sfinge: appare come un bell'edificio bianco con vezzosi scuretti rossi e i gerani alle finestre. Dal di fuori, solo pochi si accorgono che dopo la ristrutturazione il rifugio è stato quasi raddoppiato: l'ampliamento è avvenuto in modo rispettoso e tutto sommato poco appariscente, per fortuna; solo entrando ci si accorge davvero di quanto è cambiato. Ci aspettiamo dunque che questo susciti la maggior parte dei commenti e delle reazioni dei visitatori. Ma ecco la prima sorpresa: quasi tutti i frequentatori “over 50” si guardano attorno spaesati e cercano...una vecchia stufa! E quando finalmente la scorgono in un angolo del rifugio, seminascosta dal banco del bar, tirano un respiro di sollievo e sembrano aver assolto un pellegrinaggio. Come mai?

Sappiamo che il consiglio del Cai di Moggio ha animatamente discusso – durante la ristrutturazione – se conservarla oppure no, e il partito favorevole è passato a strettissima maggioranza.

Il monolito di ghisa

Che cosa mai si incarna in quel parallelepipedo di ghisa un po' arrugginito dal funzionamento dubbio e fumoso, con una panca che gli gira tutto attorno? La vecchia stufa ha un aspetto extraterrestre, un monolito caduto giù dallo spazio, anche perché è apparentemente senza camino. In realtà solo gli iniziati conoscevano la procedura segreta del suo efficientissimo tiraggio, dovuto a un camino sotterraneo obliquo che sale poi attraverso una colonna. Come recitava un ambiguo cartellino dell'epoca, bisognava “eccitare” (sic!) il camino con un foglio di giornale acceso per far funzionare la stufa. Non tutti gli escursionisti dell'epoca sapevano come fare, e molti di loro hanno passato serate affumicate intorno al mostro di ghisa, eppure questo ricordo è rimasto loro indelebilmente impresso, e lo cercano disperatamente. Il significato di questi ricordi “attorno al fuoco” me l'ha spiegato nel modo più chiaro la signora Loretta, originaria di Moggio: “non avevamo ancora 18 anni, erano le nostre prime uscite, le prime notti che passavamo fuori casa, e questo aveva un sapore fortemente trasgressivo”...insomma, in questo senso la vecchia stufa è diventata per molti il simbolo di un rito di passaggio.

Cinzia e Lauretta nell'angolo della stufa

Oggi i gruppi di giovani brillano per la loro assenza, preferendo probabilmente altri ambienti per “socializzare”. Quasi commovente in questo senso è stata la “rimpatriata” di alcuni escursionisti di Valeriano, venuti qui a celebrare i quarant'anni della fondazione del loro gruppo, avvenuta proprio al rifugio, attorno alla famosa stufa. Uno dei presenti aveva tenuto un diario dettagliatissimo della storica “prima uscita”, e lo leggeva ad alta voce, quasi religiosamente, agli altri amici. Allora lo prendevano in giro – ci ha detto – perché restava sempre indietro sul sentiero a scrivere appunti sul suo quadernetto, oggi quegli scarabocchi veloci fatti “in diretta” servono a recuperare un tempo perduto della giovinezza.

Del tutto incomprensibili invece ci restano quegli escursionisti che, arrivati al rifugio come tappa intermedia o finale della loro camminata, si siedono scomodamente sullo stretto marciapiede a consumare il loro panino, senza né entrare ad allungare le gambe sotto a un tavolo né tantomeno sistemarsi in uno dei mille appartati angolini del bosco disponibili gratuitamente tutt'intorno. Evidentemente per tutti costoro la presenza di un edificio in muratura nel bel mezzo della “wilderness” della natura dà un senso di sicurezza cui non sono disposti a rinunciare, forse sono presi da un senso di disagio di fronte alla troppa natura.

Ospiti speciali

Gli escursionisti di lungo raggio brillano pure per la loro assenza. Invece, in agosto, pochi giorni dopo la famosa staffetta dei tre Rifugi a Collina, abbiamo avuto una visita sorprendente: tre baldi giovanotti, John Martina e Riki Marcon di Chiusaforte, insieme a Giovanni Motta, siciliano ormai naturalizzato carnico, partiti da Moggio di Sopra (quota 320 m) hanno risalito la valle del Glagnò fino alla forcella Nuviernulis (1700 m), sono saliti sulla cima del Sernio (2187 m) e scesi al rifugio (1250 m).

John, Ricky e Giovanni al Rifugio

Ma la loro performance era solo a metà: erano diretti ancora sulla Grauzaria (2065 m), poi per il canalone del Rio de la Forcje sarebbero discesi e poi risaliti al monte Cimadors (1600 m) e quindi finalmente rientrati alla base. Il tutto per la bellezza di 3000 metri di dislivello in salita e altrettanti in discesa, e in un solo giorno, per un percorso che ne richiederebbe due abbondanti a un escursionista medio.

Luciano Santin, che cura sul Messaggero Veneto la pagina della montagna, sta girando, per l'emittente televisiva triestina Tele4, una serie di filmati dedicati ai monti descritti da Julius Kugy nel volume “Dalla vita di un alpinista”. Abbiamo così avuto il piacere di averlo nostro ospite per la prima puntata, quella dedicata al monte Sernio.

Quel gran testone del Sernio

Al suo intrepido cameraman, che ha accettato la fatica della scalata pur non avendo alcuna esperienza di montagna, dedichiamo queste parole di Kugy: “quel testone del Sernio, che pur non arrivando ad altezze considerevoli, sa mantenere all'ingiro il più indovinato aspetto di una vetta d'alta montagna.”

Kugy e i bivacchi

Le pagine più affascinanti di Kugy, secondo me, sono quelle che raccontano i bivacchi fatti in qualche angolino sperduto delle montagne, durante le ascensioni o sulle vette. Pratica oramai del tutto desueta, nonostante le attrezzature odierne leggere e affidabili, che potrebbero renderla molto più comoda di un tempo, quando la si affrontava solo con una mantella di loden addosso (nel migliore dei casi). Kugy ad esempio racconta di aver dormito “in un magnifico posticino erboso” nel più profondo avvallamento della cresta tra Sernio e Grauzaria, facendo una traversata tra un monte e l'altro. In un altro passo si vanta di aver trascorso 150, forse anche 200 notti all'aperto sui monti.

La copertina del libro di Kugy "Dalla vita di un alpinista"

Quale era il segreto per sentirsi riposati alla mattina, come se si fosse dormito in un letto? Lasciamolo dire a lui stesso:”Nei bivacchi stanno male quegli alpinisti che sogliono partire tardi dal fondovalle, in modo da arrivare sul posto al calar del giorno. Bisogna andare al bivacco volentieri e per tempo, se no, è meglio farne a meno. Se mi era possibile, io mi trovavo sul posto molto tempo prima dell'ora di andare a dormire.”

Sulla cima del Sernio

E aggiunge la famosa frase:”E allora è giusta la mia affermazione che si conosce bene una montagna quando ci si dorme sopra.”

Altri bivacchi

Oggi come oggi nel gergo alpinistico bivacco ha anche un altro significato: designa quelle semplici costruzioni di lamiera, situate in posti strategici, ai piedi di importanti pareti, che offrono delle spartane cuccette per il pernottamento di sei-nove persone. Uno, bellissimo e solitario, il bivacco Bianchi, è situato proprio dirimpetto al rifugio, ma lontanissimo, sull'altro versante della valle, in una conca erbosa ai piedi dello Zuc dal Bor, un monte dal nome strano e dall'aspetto inconfondibile (vi si accede dalla val Alba o da Dordolla). Nelle giornate particolarmente limpide riluce come un minuscolo puntino rosso. Una notte vi abbiamo visto brillare un fuoco. E' bello sapere che è là.

Il Bivacco Feruglio

Ma c'è un altro bivacco molto più vicino a noi, anche se non lo vediamo perché è sul versante opposto della Creta: è il Bivacco Feruglio, se possibile ancor più solitario del precedente. Si trova in uno strano pianoro sassoso e lunare chiamato Gran Circo, a 1700 metri di quota, laddove prende origine il grande ghiaione centrale della Grauzaria. Arrivarci non è banale e forse per questo pochi ci si avventurano: con un ardito sentierino si passa vicino ai campanili di Flop, caratteristiche torri isolate dalle forme strane, poi ci si infila in uno stretto camminamento tra alcune grandi lame di roccia e la parete, infine ci si inerpica per roccette avendo prima a fianco e poi sotto di sé la Medace, un campanile roccioso isolato ed aguzzo.

La Medace

Ci siamo andati da poco, il bivacco è appena stato ridipinto e luccica di un rosso fiammante nella bianca solitudine, mentre la vista, al di là della val Aupa, si apre fino alla pianura azzurrina. Sul ghiaione vediamo scendere una mamma camoscio seguita dal suo piccolo. Lì vicino ho raccolto alcune pietre dai riflessi iridescenti, ma ormai lo so che in basso perderanno il loro brillio. Come in una fiaba, non cercare il possesso, dicono.

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