giovedì 4 dicembre 2008

All'ombra della Sfinge

(Diari di mont 4 – 25 agosto 2008) Sono ormai passate le giornate lunghissime di piena estate e dopo la pioggia di ferragosto nell'aria si è diffusa una pacatezza quasi autunnale. Il sole è ancora caldo, ma già a mezzogiorno si nasconde, per un'oretta, dietro il testone della Sfinge e l'ombra cade sul rifugio.

La Sfinge vista da Elena Vecil

Noi che viviamo qui ci siamo abituati e quasi non ce ne accorgiamo, ma chi arriva per la prima volta resta impressionato dalla potenza delle pareti calcaree che chiudono la valle. Sono le famose (un tempo) pareti della Grauzaria, meta obbligata di tutti gli arrampicatori friulani e triestini dagli anni Cinquanta ai primi anni Ottanta, di cui ha cantato un po' l'epopea Paolo Bizzarro nel suo bel libro “Vietato volare”. Già la prima guida del massiccio, quella di Oscar Soravito, nel 1951 così le descriveva: “magnifiche pareti rocciose, gole profonde, spigoli taglienti in un ambiente severo e grandioso, in cui ottocento metri di roccia separano i pascoli e le ghiaie dalla vetta”. E ancora: “un complesso poderoso, slanciato, severo di rocce dalle tinte chiare, pareti verticali dalle stratificazioni regolari che formano un quadro mutevole, suggestivo e selvaggio”. E della Sfinge: la “possente cima rocciosa che precipita con altissime pareti su Flop e il vertiginoso spigolo nord strapiombante e verticale per lunghi tratti”. Non so chi per primo abbia chiamato così la Sfinge, per la somiglianza del suo profilo con quello di un uomo arcigno; certo che più che alla sua omonima egiziana fa pensare ai monoliti dell'Isola di Pasqua, oppure, con immaginazione più cinematografica, alla Maschera di Ferro (così infatti la interpreta nei suoi disegni Elena, 10 anni).

Sulla direttissima

La prima salita della Grauzaria per la cosiddetta “via normale” fu effettuata il 18 giugno 1893 da Arturo Ferrucci e Emilio Pico. La cosiddetta “direttissima”, salita da Napoleone Cozzi e Tullio Cepich nel 1900, una via di II grado, rappresentava all'epoca uno degli itinerari più difficili delle Alpi Carniche! Poi, cito ancora Soravito, “l'alpinismo si evolve, non basta toccare la vetta forzando il punto di minore resistenza, si vuole affrontare il versante più ripido e difficile, il lato esteticamente più interessante, il problema più complicato”.
Fu proprio Soravito con Celso Gilberti ad aprire, sulla parete nord della Sfinge, il 4 ottobre 1927,
la superclassica via che porta appunto il loro nome. Il 1927 segna l'inizio dell'esplorazione sistematica del gruppo, Dionisio Feruglio tra il 1933 e il 1938 ne fa il suo campo d'azione preferito; Renzo Stabile vi effettua oltre 20 prime salite, completandone la ricognizione alpinistica con tenacia e costanza. In anni più vicini a noi Paolo Bizzarro con Roberto Simonetti ha aperto una famosa via di V grado nel 1974, poi è stata la volta di Mario Di Gallo, fortissimo alpinista di Moggio, che ha aperto molte nuove vie molto difficili. E “i formidabili appicchi nord della Sfinge” che – scriveva Soravito - “ancora attendono di essere saliti direttamente”, sono stati saliti da due cordate diverse e in periodi diversi dello stesso anno il 1968: il 15-16 maggio Sergio De Infanti e Antonio Solero superarono la parte superiore, la “via del naso”, con limitato uso di chiodi e riuscendo a superare passaggi di vero VI grado; nel luglio dello stesso anno fu la cordata di Marcello Bulfoni e Tonino Mansutti a forzare in più riprese e con largo impiego di chiodi per la progressione (la cosiddetta arrampicata artificiale) la parte sottostante. Soltanto nel 1983 ci si ricordò di questo grande itinerario con le prime ripetizioni e la prima salita integrale e in arrampicata libera (con l’uso dei chiodi per la sola protezione) il 27 agosto a opera di Mario Di Gallo e Antonio Frezza.

La cresta vista da Sud

Oggi invece Sfinge e Grauzaria sono andate fuori moda e cadute un po' nel dimenticatoio. Ci rendiamo conto che fra le varie categorie di frequentatori del rifugio oggi, rispetto a vent'anni fa, ci sono mancati quasi completamente gli alpinisti. E proprio con Mario Di Gallo, funzionario forestale regionale e dal 1986 guida alpina, abbiamo occasione di parlare riguardo alle attuali tendenze dell'alpinismo e dell'arrampicata.

Mario, classe 1958, è ben noto non solo per la sua attività alpinistica, ma anche per aver effettuato, alla fine degli anni Ottanta, la stesura, insieme a Attilio De Rovere, della nuova edizione del volume “Alpi Carniche” della prestigiosa guida del CAI-TCI “Guida dei monti d'Italia”. Mario, che questi monti li conosce davvero come le sue tasche, è la persona più adatta per fare il punto della situazione.

“E' vera la tua impressione – inizia a raccontare – ci sono sempre meno alpinisti sulle vie classiche di roccia. Attualmente si sta sviluppando sempre di più la cosiddetta “arrampicata sportiva”, che consiste nell'apertura di vie protette con chiodi a espansione (nei fori praticati con il trapano a batteria si infilano e si tendono i tasselli a espansione, commercialmente noti come “fischer” o “spit”) sulle pareti alpine, portando in alta montagna ciò che viene fatto nelle palestre di roccia. Questa tendenza, iniziata nelle Alpi Occidentali circa 20 anni fa, è cominciata qui da noi da circa 15 anni, uno dei primi in regione a praticarla è stato Attilio De Rovere e il triestino Marco Sterni ne è il massimo interprete con le sue mirabolanti realizzazioni sulle pareti del Robon (nella zona di Sella Nevea). Si tratta in pratica di vie di alta difficoltà, di solito superiori al VI grado UIAA (ma sarebbe meglio usare la scala francese: 6a, 6b, ecc.) che presentano punti di sosta e di protezione dalle cadute attrezzati con i chiodi a espansione, posizionati a piacere su pareti completamente lisce, in modo da garantire la massima sicurezza, svincolandosi dalla ricerca delle rugosità e delle fessure in cui si devono infilare i dadi a incastro o battere i chiodi. Sono sempre meno i giovani che conoscono l’uso di martello, chiodi e dadi, l'arrampicata sportiva è più sicura e meno stressante (anche se più consumistica), è l'evoluzione dell'arrampicata in palestra che si espande sulle grandi pareti.”

L'arrampicata sportiva ha rotto un tabù, quello che imponeva di usare solo le fessure naturali della roccia, di non farle violenza, insomma. Ora l'etica viene spostata più in là a favore della sicurezza. Mario continua: “Si è dibattuto a lungo se era il caso di “spittare” (bruttissimo verbo davvero) anche le vie classiche. Attualmente viene accettata l'apertura di vie nuove dal basso con “spit” là dove non ci si può proteggere in nessuna altra maniera, mentre è meglio che le vie storiche restino semplicemente attrezzate con i chiodi, per rispetto nei confronti di chi ci ha preceduti, e ai quali dobbiamo molto, e verso noi stessi.”

Ma Attilio De Rovere non era solo (come capita di leggere su alcune recentissime guide di arrampicata sportiva), quando sul Bila Pec, nell’agosto del 1988, forse per la prima volta in regione, ha aperto una via di arrampicata sportiva in montagna, era in compagnia di Mario Di Gallo…. Attualmente però Mario si dedica esclusivamente a un alpinismo classico e di esplorazione, anche se non disdegna di mettersi alla prova sulle vie “spittate”e soprattutto come allenamento di inizio stagione.

Quali sono le vie di roccia da consigliare sulla Grauzaria? Mario non ha dubbi: “Senz'altro la classica Gilberti-Soravito del 1927, con difficoltà medio basse, adatta per neofiti e non. E' bella per l'ambiente e la qualità della roccia, e l’alpinista pare venga condotto dalla parete stessa per la strada più facile, evitando un apparente dedalo di tetti, strapiombi e spigoli. Tutte le soste sono state attrezzate con “spit” negli anni ‘90 per renderla più sicura, per prevenire incidenti e per facilitare un eventuale ritorno in corda doppia. Se saliamo con le difficoltà, è consigliabile anche lo spigolo integrale Nord della Sfinge (VI e VII), oppure la via Bizzarro-Simonetti (IV, V). Sulla Creta dei Gjai c'è bella roccia sulla diretta Stabile (VI). Invece per quanto riguarda l'arrampicata sportiva, la Grauzaria è assolutamente “vergine”, anche se ci sarebbero pareti adatte, come quelle basse della Sfinge (la parete nord per 120 m e la base della Cima Est), ma non vorrei dare troppi facili suggerimenti…Lo studio di una parete, ma vorrei dire la sua contemplazione e la sua comprensione, sono un passo importante di ogni alpinista, o arrampicatore, che si rispetti!”

E' vero che hai aperto anche di recente vie nuove qui in Grauzaria? “Ne cito due visibili dal Rifugio: insieme a Daniele Moroldo, mio attuale e forte compagno di cordata, nel 2005, sulla parete est della Crete dai Gjai, vicino alla "Direttissima Stabile", ho aperto la via “Il giorno della salamandra”, su roccia bella con passaggi di VI-; sulla parete nord-est della Sfinge dal 2003 c’è la via “Fruts di caselin”, per fissare sulla roccia il ricordo di un bellissimo aneddoto che mi ha raccontato Corrado Druidi, di V con tratti fino al VI+ per un dislivello di oltre 500 m, su bella roccia dolomitica, ma che nessuno ripeterà mai… Le relazioni di queste vie sono state pubblicate sulla rivista Le Alpi Venete.”


Una bella immagine di Mario Di Gallo

Mario è tra i pochi oggi a praticare un alpinismo classico di tipo esplorativo a un certo livello, cioè cercando sulle pareti tracciati inediti, mai percorsi prima. “Ormai non c'è tanto spazio per vie nuove, specialmente su pareti come queste della Creta Grauzaria. Quando sono attratto da una parete, in realtà cammino in montagna sempre con il naso per aria (è più forte di me), comincio a contemplarla poi nasce l’idea…, estraggo il binocolo e scruto le pieghe della roccia, cercando di seguire con gli occhi l’idea, è una sensazione molto intensa quella che mi fa pensare: si può fare… Una volta a casa mi documento: consulto guide, fotografie, cerco tutte le riviste possibili, raramente chiedo lumi a qualche amico fidato (e che non arrampica più), sai, una via nuova richiede anche molto impegno intellettuale e riservatezza. In ogni caso chi è passato prima di me merita tutto il rispetto e, Gino Buscaini me l’ha insegnato, ogni volta che si incrocia, o ci si sovrappone, a una via già esistente bisogna dichiaralo chiaramente! Lo dico perché certuni, troppo sbrigativi o per smania di successo (poveretti), ricalcano vie già salite spacciandole per prime: è il caso di quattro vie aperte da me e che Mazzilis, in tempi molto successivi, si è inopinatamente attribuito (la data della pubblicazione non teme smentita). Mi preme ricordare soltanto la “via Lampo e Cai”, salita per la prima volta nel 1993 con Remigio Stefenatti e dedicata a due alpinisti scomparsi, che Mazzilis stesso ha definito come la più bella e difficile (che naturalmente merita di diventare una classica) di tutta la Creta di Aip (detto da lui, per me è un grande onore), ritenendo di aver fatto la prima ascensione nel 2005. Insomma a me piace osservarle a lungo, le pareti, anche per ore, fantasticandoci sopra e interpretandone i segreti. Il piacere principale di tutto questo gioco consiste nella contemplazione e nel desiderio, poi naturalmente ci vuole anche l'azione che, purtroppo, si identifica con il possesso che significa però la scomparsa del desiderio. E mi chiedo spesso se tutto questo non significhi anche consumo… spero di no. In questo modo, forse aiutato da letture che non mi faccio mai mancare nel tempo libero, ho scoperto ciò che cerco in montagna e ciò che alimenta la mia passione: è la bellezza, in tutti i sensi. Bellezza delle forme, delle incisioni e dei colori delle pareti che cambiano al passaggio dei raggi solari, della roccia nelle sue minute lavorazioni, della linea di un itinerario logico e sicuro, dei gesti necessari alla progressione e dei rapporti d’intesa e di fiducia che si rafforzano con il compagno di cordata.”

Quali novità ci riserva la Creta Grauzaria? “Impensabili anche a chi, l’hai detto tu, la conosce come le proprie tasche: nel 2005, sorprendentemente e inseguendo le mie contemplazioni, ho trovato una nuova via che si può definire una “normale” (con difficoltà massime di II) alla Cima Senza Nome. Si parte dal Bivacco Feruglio, ai tempi edificato con un solo collegamento relativamente semplice con il fondo valle (il sentiero Ferrucci), e procedendo senza perdere quota, si raggiunge la parete est che non oppone grandi difficoltà a chi la sale. Dalla cima poi è facile raggiungere la Creta Grauzaria e scendere al Rifugio. È la seconda possibilità questa, oltre al sentiero attrezzato Cengle dal Bec, a permettere il periplo della Creta superando difficoltà che non richiedono la progressione in cordata. A questo punto si può anche pensare a un'alta via di un certo impegno che attraversi tutta la Creta Grauzaria e, scendendo al Portonat, si colleghi poi attraverso il sentiero Nobile (Cima dai Gjai e Cima del Lavinale) alla forcella Nuviernulis e alla via normale del Sernio. E' vero, gli alpinisti non sono più molti, ma in compenso il livello escursionistico si sta alzando, e questo itinerario sarà ottimo e meraviglioso pane per i loro denti.”

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